Capitolo 47

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“Siamo fuori! Siamo fuori!”, urla Teo.

“Non siamo fuori, siamo ancora dentro!”.

“Siamo dentro ma siamo fuori!”.

“Perché mai dovrebbe essere un miglioramento?!?”.

“Non lo so!”.

Ma che cazzo! Ci manca solo che Teo scleri, lui che finora è stato quello più a posto. Giuro che se usciamo vivi da questo casino strangolo qualcuno a mani nude. E ho già deciso con chi prendermela. Afferro il cucciolo per un braccio.

“Tu ora ci porti fuori da qui o quantèveriddio giuro che” ma veniamo colpiti da qualcosa.

Il disco si inclina di qualche grado e, nonostante l’alieno torni immediatamente ai comandi, la stabilità non migliora. Riusciamo a schivare diversi colpi, poi acceleriamo verso l’interno dell’astronave madre volando inclinati. Beh, almeno le funzioni principali del velivolo sono intatte. Il problema è che io e Teo restiamo spiaccicati contro la parete destra, e difficilmente riusciamo a spostarci da lì anche quando le manovre del nostro disco dovrebbero riequilibrarne l’interno. Nel giro di un minuto siamo inseguiti da centinaia di navi nemiche, alcune della nostra taglia, altre grandi come quelle da trasporto. Non è una bella situazione: ci sparano addosso ma siamo troppo impegnati a filarcela per rispondere al fuoco. In realtà non sappiamo assolutamente dove stiamo andando, almeno, io non ne ho idea: la mossa più intelligente sarebbe stata trovare un’altra uscita, ma quest’affare è talmente grande che, se anche ci fossero aperture che danno verso l’esterno, a colpo d’occhio non le vedremmo.

Comunque l’impressione che ci stiamo dirigendo verso il luogo più interno dell’astronave madre è confermata dal fatto che d’un tratto accediamo a una stanza talmente grande che non si vedono né il principio né la fine delle colonne che ne reggono la struttura. Il centro dell’ambiente è tagliato a metà da quella che sembra una lama di luce verde, ed è proprio a questa che ci stiamo avvicinando. I nostri inseguitori smettono di sparare, ma proseguono la corsa insieme a noi, evidentemente per non perderci di vista.

La lama di luce si fa sempre più vicina e man mano che la distanza si accorcia notiamo che non è affatto una lama, ma una colonna grossa quanto le altre, all’interno della quale sembra scorrere una qualche forma di energia. Ora capisco perché non ci sparano più addosso: se un proiettile andasse a vuoto e la colpisse, sarebbero guai per tutta la struttura. Ma non ho il tempo di concludere il ragionamento: il cucciolo si mette a sparare all’impazzata verso la colonna che, colpita, rilascia dei flash di luce bianca. Dopodiché manovriamo di nuovo ad altissima velocità per allontanarci.

Di colpo scende il buio. La luce verde, che prima illuminava seppur fiocamente l’ambiente si è spenta. Solo dopo qualche secondo sentiamo un boato: tutte le colonne si stanno sgretolando, le crepe sono di colore rosso e un liquido inizia a colare da esse: sembra stiano sanguinando. L’immagine sul nostro schermo torna dritta, ma non è la nostra inclinazione a essere tornata a posto: è quella dell’astronave madre a essere danneggiata!

Mentre cerchiamo disperatamente di raggiungere un’uscita qualunque, tutto intorno a noi sembra sbriciolarsi. L’asse di inclinazione dell’astronave non è più stabile e la struttura inizia a roteare in modo incontrollato. Anche la sua orbita non è più stazionaria: si inclina verso il basso, attirata dalla gravità terrestre. Le opzioni sono due: bruciare nell’atmosfera insieme al resto dell’astronave madre o schiantarsi nel mare sotto di noi.

Non mi ero mai resa conto che l’Oceano Atlantico fosse così blu.

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