Capitolo 23

foto capitolo 23

 

Nel giro di pochi secondi siamo circondati. Botolo non si muove. Fissa lo schermo e sembra in attesa di qualcosa. Non capisco. Non capisco e sto andando nel panico. Se fossimo in un film ora sarebbe il momento giusto per il discorsetto dei cattivi, arrendetevi, non vi sarà fatto alcun male, blah blah. Ma non è un film, sono sola contro non so quanti alieni e anche quello che è con me non sta collaborando.

“Se non vuoi tirarli giù, almeno andiamo via”, lo imploro. E va bene, lo ammetto, me la sto facendo sotto. Sento distintamente che le altre astronavi stanno caricando il colpo, il rumore è assordante.

No, cazzo.

Con un gesto repentino e improvviso, Botolo tocca un punto dello schermo, proprio davanti al suo naso, proprio un attimo prima che gli altri sparino: il nostro disco si alza di circa 50 metri, mentre gli altri si abbattono tra di loro, senza aver avuto il minimo sentore di quello che sta succedendo.

Scoppio a ridere. E bravo Botolo! Best prank ever!

Mentre le altre astronavi precipitano al suolo una dopo l’altra, noi ci allontaniamo. Per fortuna Botolo non perde la concentrazione perché dopo nemmeno un minuto siamo inseguiti da 3 intercettori. Vorrei contribuire ma non so cosa fare, allora urlo a caso “Manovra evasiva, manovra evasiva!” anche se non so cosa sto dicendo. Ci sparano addosso, ma il mio piccolo amico è bravissimo a schivare i colpi (che finiscono a terra, sfondando tutto quello che si trova al suolo) e sguscia tra un palazzo e l’altro alternando volo radente a decolli improvvisi. Non mi è mai piaciuto volare, ma temo di dovermi adattare alla situazione. La precisione di Botolo nelle manovre mi impressiona. Arriva addirittura a puntare con decisione contro un grosso condominio e a sparargli contro creando una voragine al suo centro un secondo prima di passarci attraverso. Il primo dei nostri inseguitori è talmente colto di sorpresa che si schianta contro quello che resta dello stesso edificio. Appena riemersi dall’altro lato, ci portiamo repentinamente in alto, poi indietro, poi di nuovo giù, alle spalle degli altri due dischi che ci hanno inseguito attraverso il buco creato nel palazzo e a cui Botolo non lascia il tempo di rimanovrare: toccando i due punti dello schermo dove sono visualizzati, fa partire due colpi che li fanno esplodere in mille pezzi. That’s my boy!

Non si vede più nessuno nei paraggi, quindi ne approfittiamo per dileguarci a quella che sembra la velocità più vicina alla luce. L’astronave compie una larghissima virata in salita e nel giro di pochi secondi ci ritroviamo negli strati più alti dell’atmosfera: la vista diventa mozzafiato, non appena le macerie spariscono. Il nostro bellissimo pianeta blu, preso d’assalto da un gruppo di bastardi. Mi sento come in Star Trek: Kirk che vuole vendicarsi dei Klingon e il suo piccolo Spock, qui, che cerca di ragionare. Ho sempre sognato di andare nello spazio, un giorno, ma non mi aspettavo che sarei riuscita a farlo, né che mi sarei innamorata così violentemente del panorama. Ora che la mia casa è stata invasa, penso di amarla ancora di più, con più ardore e passione.

E devo tenere stretto questo sentimento positivo, perché improvvisamente prendiamo la curva sbagliata e finiamo nel quartiere malfamato della metropoli: davanti a noi appare un tappeto di astronavi,  enormi e talmente numerose da offuscare la luce della luna. Porcaputt, altro che “gruppo di bastardi”, questi saranno milioni. Non so come ma Botolo riesce a dissimulare e, senza farsi notare, torna verso terra. Non devo farmi prendere dalla disperazione. Però si mette male, cazzo. Il mio piccolo amico attira la mia attenzione: probabilmente non sa dove andare. Beh, nemmeno io. Poi mi viene in mente che non ho ancora guardato chi mi ha telefonato nel momento più sbagliato della storia umana. Estraggo il cellulare dalla tasca e controllo il registro chiamate. Deve essere uno scherzo: sembra che Teo, un amico di mio fratello, abbia cercato di chiamarmi. Non so se crederci o no.

“Andiamo a casa dei miei”, suggerisco; Botolo fa apparire una mappa dell’hinterland di Milano sullo schermo: tocco un punto preciso ma non succede nulla finché non è lui a toccare lo stesso punto e il disco cambia repentinamente direzione.

È il momento di scoprire che fine ha fatto la mia famiglia.

Per la prima volta da quando è iniziata questa storia mi sento tremare.

1 thoughts on “Capitolo 23

  1. rabb72it ha detto:

    Urka, certo che Botolo lo hai addomesticato proprio bene.
    O magari, il fatto che cercavano di farti fuori quanto tu a lui male mica gliene avevi fatto… sì ok la pianto ed aspetto i prossimi capitoli.
    ^_^

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